Archivio mensile Febbraio 2020

Delitti contro la famiglia:delitto di maltrattamento e lesioni personali dolose aggravate, in danno della convivente:

Articolo 572 Codice Penale – Maltrattamenti contro familiari o conviventi –Cassazione Penale, sez. VI, sentenza 09/05/2019 n° 19922di PAOLO SARACCO

La configurabilità del reato di maltrattamento si configura indifferentemente anche durante un rapporto familiare di mero fatto come nella fattispecie in esame rappresentata da una relazione sentimentale caratterizzata dalla convivenza di un breve periodo di 10 mesi.

 

Infatti il nostro legislatore penale ha ritenuto configurabile il reato di maltrattamento oltre ai nuclei familiari regolarmente costituiti anche nei confronti di qualunque relazione sentimentale con vincoli di affettività e coinvolgimenti di assistenza paragonabili agli interessi ed obblighi familiari o di convivenza abituale.

 

Inoltre la rilevanza della reciprocità delle condotte aggressive è stata trattata dalla Suprema Corte che hachiarito che “in tema di maltrattamenti in famiglia, lo stato di inferiorità psicologica della vittima non deve necessariamente tradursi in una situazione di suo completo abbattimento, potendo consistere anche in un avvilimento generale conseguente alle vessazioni patite, senza che sporadiche reazioni vitali ed aggressive da parte della stessa possano escluderne lo stato di soggezione, a fronte di soprusi abituali”.

Da ciò si deduce chela reciprocità delle condotte aggressive non esclude l’integrazione del reato qualora le reazioni della vittima siano una risposta occasionale ad una condotta abituale di sopraffazione.

 

IL CASO GIURISPRUDENZIALE

La Sesta Sezione Penale della Suprema Corte di Cassazione sul ricorso presentato da un convivente avverso la sentenza emessa il 19/06/2018 dalla Corte di appello di Roma che aveva confermato la condanna dell’imputato per i delitti di maltrattamenti e lesioni personali dolose aggravati, commessi in danno della compagna, pronunciata dal Tribunale di Roma con sentenza del 10 luglio 2017.

 

Secondo il ricorrente vi sarebbe stato nella sentenza della Corte di appello difetto di motivazione – ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), – in relazione alla inattendibilità delle dichiarazioni della persona offesa, peraltro non supportate da alcun riscontro.

 

La seconda motivazione sarebbe stata per il ricorrente quella che la Corte avrebbe errato, e comunque non avrebbe compiutamente assolto al proprio onere di motivazione, laddove era giunta a ritenere sussistente tale reato, nonostante: a) non vi fosse un rapporto di supremazia dell’imputato sulla querelante e le aggressioni fossero reciproche; b) non vi fosse, tra costoro, un rapporto di tipo familiare, mancando un comune progetto di vita.

 

In tal senso la decisione degli ermellini è stata di rigetto di entrambe i motiviin quanto non sono sindacabili in sede di legittimità, se non entro gli appena esposti limiti, la valutazione del giudice di merito circa eventuali contrasti testimoniali o la sua scelta tra divergenti versioni e interpretazioni dei fatti (Sez. 5, n. 51604 del 19/09/2017, Rv. 271623).

 

L’impianto motivazionale era poggiato non solamente sulle dichiarazioni della persona offesa, ma anche su quelle di suoi parenti e di terzi estranei al nucleo familiare, nonché su certificati medici, fotografie, messaggi “Facebook” e relazioni di servizio, redatte dagli operatori di polizia in occasione di vari interventi. Da ciò si deduceva la  completa infondatezza della doglianza relativa all’inattendibilità della persona offesa ed alla mancanza di riscontri alle sue accuse.

il delitto è configurabile anche quando manchi una stabile convivenza e sussista, con la vittima degli abusi, un rapporto familiare di mero fatto, caratterizzato dalla messa in atto di un progetto di vita basato sulla reciproca solidarietà ed assistenza (Sez. 6, n. 22915 del 07/05/2013, Rv. 255628.).

 

La Corte di Cassazione ha evidenziato che come emergeva pacificamente dall’impugnata sentenza, incontroversa per questa parte – l’imputato e la parte civile, oltre ad avere intrattenuto una relazione sentimentale, avevano convissuto nella stessa abitazione per circa dieci mesi.

Pertanto rigetto del ricorso e condanna alle spese del ricorrente.

Pubblicato su Casertaweb

Condominio e Responsabilità: caduta sul marciapiede

La fattispecie odierna della tematica di diritto che propongo all’attenzione dei lettori riguarda il caso appunto di una donna caduta sul marciapiede antistante un condominio, condannato sia in primo che in  secondo grado al risarcimento dei danni.

La CORTE DI CASSAZIONESez. VI civ., ord. 20.12.2017,n. 30545: deduce che occorre prima capire se la proprietà del marciapiede sia del Comune o del condominio, considerando che quest’ultimo può eccepire in qualunque momento il proprio difetto di legittimazione passiva sostanziale, trattandosi di una difesa non soggetta a decadenza. Rileva il ricorrente, tra l’altro, che la contestazione della legittimazione passiva costituisce una mera difesa, non soggetta a decadenza, e che essa può essere fatta valere anche in grado di appello e rilevata d’ufficio dal giudice

Fatti di causa

  1. A.R. convenne in giudizio, davanti al Tribunale di Salerno, il Condominio … chiedendo che fosse condannato al risarcimento dei danni da lei sofferti a causa di una caduta su di un marciapiede che si asseriva di proprietà del Condominio.

Rimasto contumace il convenuto il Tribunale, svolta prova per testi ed una c.t.u., accolse la domanda e condannò il Condominio al risarcimento dei danni liquidati in euro 14.429,63, con rivalutazione, interessi ed il carico delle spese.

  1. La pronuncia è stata appellata dal Condominio soccombente e la Corte d’appello di Salerno, con sentenza del 10 marzo 2016, ha rigettato il gravame, condannando l’appellante al pagamento delle ulteriori spese del grado.

Ha osservato la Corte territoriale che il marciapiede, pur non rientrando tra le parti comuni di un edificio ai sensi dell’art. 1117 cod. civ., può assumere natura condominiale in relazione alla sua destinazione e che comunque il Condominio, essendo rimasto contumace in primo grado, era decaduto dalla possibilità di eccepire il proprio difetto di legittimazione passiva sostanziale e, di conseguenza, l’assenza di ogni obbligo a suo carico di manutenzione del marciapiede.

  1. Contro la sentenza della Corte d’appello di Salerno ricorre il Condominio con atto affidato ad un solo complesso motivo.

Resiste A.R. con controricorso.

Ragioni della decisione

Le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza 16 febbraio 2016, n. 2951, hanno stabilito, tra l’altro, che le contestazioni, da parte del convenuto, della titolarità del rapporto controverso dedotte dall’attore hanno natura di mere difese, proponibili in ogni fase del giudizio, senza che l’eventuale contumacia o tardiva costituzione assuma valore di non contestazione o alteri la ripartizione degli oneri probatori, ferme le eventuali preclusioni maturate per l’allegazione e la prova di fatti impeditivi, modificativi od estintivi della titolarità del diritto non rilevabili dagli atti.

Nel caso in esame, l’obbligazione risarcitoria del Condominio, sia ai sensi dell’art. 2043 che dell’art. 2051 cod. civ., intanto può essere in astratto prospettabile in quanto risulti che lo stesso è titolare di un diritto di proprietà sul marciapiede dove è avvenuto l’incidente, dovendosi altrimenti indirizzare la domanda risarcitoria nei confronti del Comune (come di regola avviene, v. la sentenza 3 agosto 2005, n. 16226). Ne consegue che la titolarità di un diritto dominicale sul marciapiede teatro dell’incidente costituisce presupposto ineliminabile per l’accoglimento della domanda della A.R., per cui la Corte d’appello non avrebbe dovuto affermare la tardività della contestazione in conseguenza della contumacia del Condominio in primo grado, non trattandosi di un’eccezione in senso stretto.

pubblicato su casertaweb